E' tanta o è poca?

Va detto a questo punto che i 110.000 km3 di acqua che cadono ogni anno sulla superficie delle terre emerse sono distribuiti in maniera molto irregolare nelle varie parti delle terre emerse. In media le precipitazioni corrispondono ad uno spessore di acqua di circa 0,7 metri, cioè 700 millimetri, per ogni metro quadrato di superficie all’anno.

Sembrerebbe molto, ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno: le precipitazioni dipendono dalle condizioni geografiche e climatiche: in certe zone dei continenti cadono anche 2.000 millimetri di acqua; in altre poche decine di millimetri. In molte zone le precipitazioni sono intense, ma concentrate in poche settimane o mesi dell’anno.

Vediamo ora la situazione in Italia: sui circa 300.000 km2 di superficie del paese cadono circa 300 miliardi di m3 (300 km3) di acqua all’anno. Di questi, circa 150 miliardi di m3/anno ri-evaporano e circa 150 miliardi di m3/anno rappresentano la portata dei fiumi e tornano al mare nei vasti bacini idrografici. Nel Nord, nella valle attraversata dal grande fiume Po e dai suoi affluenti, cadono circa 1.000 millimetri di pioggia all’anno; nel Sud cadono circa 500 millimetri di pioggia all’anno. Eppure la valle padana dista dalla Sicilia appena 1.000 kilometri.

Dei circa 150 miliardi di m3/anno di acqua disponibile come deflusso superficiale, l’acqua effettivamente utilizzabile non supera i 100 miliardi di m3/anno e quella effettivamente utilizzata per l’agricoltura, le industrie, le città si aggira sui 50-60 miliardi di m3/anno. L’agricoltura assorbe circa i tre quarti degli usi dell’acqua e gran parte dell’acqua utilizzata dall’agricoltura evapora e non raggiunge più il mare.

L’acqua è - per usare un termine tratto dall’ecologia - un "fattore limitante" dello sviluppo. Anche in presenza di altri fattori - mano d’opera, capitale, terra, minerali, risorse naturali - la scarsità o la mancanza di acqua impedisce una vita domestica e urbana decente e moderna, l’agricoltura, attività manifatturiere, turismo.

Benché apparentemente l’acqua sia una risorsa rinnovabile, le cui riserve sono continuamente reintegrate attraverso il grande ciclo naturale dell’acqua, le riserve di acqua di buona qualità effettivamente utilizzabile a fini umani diminuiscono continuamente: le attività umane - l’agricoltura, le produzioni industriali, la vita nelle città - prelevano acqua dai fiumi, dai laghi o dal sottosuolo e la restituiscono nei corpi riceventi naturali "inquinata", cioè addizionata di sostanze che, in molti casi, la rendono inutilizzabile per altre attività umane a valle, per cui in molti paesi, fra cui quelli europei e l’Italia, la disponibilità di acqua dolce di buona qualità si fa progressivamente sempre più scarsa.

Tali attentati alle risorse idriche, tipico bene collettivo, sono una forma di violenza: non c’è perciò da meravigliarsi se, per la conquista dell’acqua vengono combattute guerre, proprio come per la conquista di altre materie essenziali per la vita umana.

L’acqua dei fiumi Tigri e Eufrate è contesa fra Irak, Siria, Turchia e Kurdistan; le acque del Nilo sono contese fra Egitto e Sudan; le acque dello Zambesi sono contese fra Botswana, Zimbabwe, Zambia e Mozambico; le acque dell’Indo sono contese fra India e Pakistan e l’India si trova contrapposta al Bangladesh per l’uso delle acque del Gange e del Brahmaputra; l’Ungheria e la Slovacchia si contengono le acque del Danubio; Croazia e Bosnia, quelle dei fiumi Drava, Sava e Drina. Stati Uniti e Messico si contendono le acque del Rio Grande che fa, per un tratto, da confine fra i due paesi.

Occorre un salto di qualità politico e culturale: l’utilizzazione delle risorse di acqua dolce - dei fiumi e del sottosuolo - a fini umani è possibile soltanto attraverso un progetto di solidarietà: persone che lavorano insieme per sollevare acqua dai pozzi, regioni e stati che collaborano per regolare il flusso dei fiumi ed evitare le alluvioni; oppure che accettano regole comuni per diminuire l’inquinamento che "distrugge" una parte dell’acqua adatta a fini umani.

Ma vi sono anche azioni che alterano il ciclo naturale dell’acqua. Per esempio l’eccessivo sfruttamento economico del suolo - distruzione dei boschi, agricoltura intensiva, eccessiva edificazione - provocano una diminuzione delle precipitazioni, fanno aumentare la richiesta di acqua per l’irrigazione e per le città.

Le comunità umane, allora, hanno bisogno di estrarre più acqua dal sottosuolo, di "importare" acqua da zone lontane, sottraendola ad altri paesi e ad altri usi; nello stesso tempo le attività agricole e urbane e industriali generano crescenti quantità di scorie e rifiuti che vengono immessi nei fiumi e nei laghi e che peggiorano la qualità delle acque contenute nelle riserve da cui vengono estratte crescenti quantità di acqua.

è una specie di spirale perversa: maggiori consumi comportano maggiori inquinamenti e fanno peggiorare la qualità delle riserve esistenti e fanno quindi diminuire la disponibilità di acqua nella zona e nelle zone vicine.

Per rallentare questa spirale di violenza occorre diffondere a tutti i livelli la conoscenza del ciclo dell’acqua così come si svolge a livello planetario e a livello delle singole comunità o stati.

Sarebbe così possibile diffondere la consapevolezza che certi interventi apparentemente "economici" nell’uso del suolo - disboscamento, cementificazione, eccessivo sfruttamento agricolo, eccessiva concentrazione urbana - fanno aumentare la richiesta dell’acqua, fanno peggiorare la qualità dell’acqua esistente e diminuire la disponibilità di acqua in futuro per tutti.

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