CONCETTO DI MISURA: L'IMPORTANZA DI UNA CONVENZIONE Sul concetto di misura-qualora si volessero approfondire tutte le sue implicazioni e complicazioni - si potrebbero scrivere parecchi volumi. Io dubito dell'utilità di una simile opera, che verrebbe in pratica ignorata sia dal pubblico in generale, sia da coloro che per mestiere passano la vita ad eseguire misure in laboratorio o sul campo. Molto meglio tentare di riassumere con non troppe parole la filosofia della misurazione nello sviluppo moderno delle scienze. E' quello che farò nelle pagine che seguono, ben conscio non solo di non esaurire l'argomento, ma anche di non trovare il perfetto accordo di tutti i miei colleghi fisici o studiosi di altre scienze. Alcuni punti infatti possono essere alquanto controversi. Per me l'importante è non abituarsi ad accettare acriticamente il procedimento della misurazione, a rendere che sia necessario e dettato dalla natura quello che è solo convenzionale, a credere che esista il sistema delle misure giuste, trovate ed adottate una volta per tutte. E’ nozione comune che lo studio della natura - ma in particolare quello dell'universo fisico - abbia assunto un carattere veramente scientifico e ben fondato solo quando si è cominciato a considerarne l'aspetto quantitativo, oltre a quello puramente qualitativo. Ma forse non tutti si rendono conto che una valutazione quantitativa - sia pure grossolanamente approssimata - c'è sempre stata: gli uomini, da che mondo è mondo, hanno detto che questo è più grande di quello, che questo è più leggero di quell'altro, e così via. Sarebbe azzardato affermare che simili espressioni non contengano alcun apprezzamento di carattere quantitativo. Tuttavia è certo che un progresso notevole si ebbe quando si pensò di ricorrere a valutazioni più precise, introducendo il concetto di misura e facendo corrispondere ad ogni grandezza considerata un numero. Allora si cominciò a dire che la tale distanza era di tanti stadi, che la tale cosa pesava tante dracme, e così via. Ma tutto ciò sembrava avere soprattutto un'utilità pratica. In particolare il numero che esprimeva la misura serviva a fissare quanto denaro si doveva sborsare per ottenere questo o quello. Una prima rivoluzione veramente scientifica si verificò quando la geometria dimostrò che fra i numeri che esprimevano certe grandezze e quelli che ne esprimevano altre - anche di tipo diverso - intercorrevano precise relazioni matematiche necessarie. Si pensi per esempio alle relazioni che sussistono fra lunghezze, aree e volumi. Ma si può dire grosso modo che a questo stadio ci si fermò per parecchi secoli. Quella che oggi si chiama rivoluzione scientifica tout court e che iniziò circa quattro secoli fa - soprattutto, ma non solo, per merito di Galileo - portò a scoprire in modo inconfutabile un nuovo metodo per stabilire relazioni quantitative necessarie fra le cose della natura: il metodo sperimentale. Con esso si faceva vedere che fra le misure delle diverse grandezze che intervengono in un fenomeno sussistono sempre certe relazioni matematiche, che furono chiamate poi leggi fisiche. Il metodo, come tutti sanno, ebbe enorme successo, tanto che un bel giorno si fu costretti a riflettere in maniera approfondita sui suoi stessi fondamenti. Fra l'altro ci si domandò che cosa fosse veramente una grandezza fisica e che cosa fosse la sua misura. Cominciamo con le grandezze fisiche e consideriamo le più "semplici". Che cos'è una lunghezza, che cos'è un tempo? Tutti lo sanno; eppure provatevi a definirli e vi troverete subito smarriti. Non ci sono parole adatte per far conoscere quelle grandezze a chi non le conosce gia. Ma qui è nata un'idea importantissima, che si è precisata soprattutto nel nostro secolo. Nella scienza fisica si parla delle grandezze solo in quanto si sanno misurare. Naturalmente se ne può anche parlare in generale: ma in tal caso si fa solo un discorso comune (pur lecitissimo), non della scienza. D'altra parte in fisica è perfettamente sufficiente poter misurare le grandezze per arrivare a formulare quelle leggi matematiche che legano costantemente fra loro i risultati di quelle misure. Non importa quindi sapere che cos'è in sé una lunghezza, che cos'è in sé un tempo, e cosi via; basta saperli misurare. Nasce così il concetto di definizione operativa delle grandezze fisiche: "ogni grandezza fisica è definita dalla successione delle operazioni che si devono compiere per misurarla". Io non so spiegare a nessuno che cos'è un tempo: ma so spiegare a chiunque - e con parole molto semplici - come si fa a costruire un pendolo e a contarne le oscillazioni. Non so spiegare che cos'è una lunghezza, ma so insegnare a prendere un righello (che poi chiamerò unità di misura) e a riportarlo tante volte in successione sulla distanza che voglio misurare, fino a coprirla tutta. Qualcuno obietta - e tanti filosofi l'hanno fatto - che in tal modo ci si preclude di penetrare l'essenza delle cose e che soprattutto si impoverisce il concetto della grandezza di cui ci si occupa. E’ verissimo; perché non riconoscerlo? Per esempio, col pendolo io non spiego che cos'è il mio senso interiore di una durata (che fra l'altro quando mi annoio diventa molto più lunga), non affronto il tempo della musica, quello della storia. Ma sta il fatto che quel senso puramente interiore, quella psicologia del tempo, non servono a fare la fisica. Per il fisico nell'esercizio delle sue funzioni Proust e Bergson sono perfettamente inutili (anche se potranno immensamente contribuire ad aumentare la sua ricchezza interiore). Invece la definizione operativa è certamente sufficiente per costruire la fisica in modo coerente ed utile. Anche una fondamentale scoperta di Einstein scaturì da una seria analisi di come si misura il tempo in sistemi diversi. A questo punto sorgono alcune difficoltà, che è bene conoscere. Prima di tutto sta il fatto che io posso misurare una stessa grandezza in parecchi modi diversi. Per esempio, parliamo della lunghezza: io posso misurarla col metodo del regolo, già menzionato; oppure posso usare il metodo della triangolazione ottica (nelle forme che qualunque insegnante saprà spiegare) oppure posso impiegare un radar, misurando in sostanza il tempo che le onde elettromagnetiche impiegano a percorrere quella distanza; e cosi via. Allora per dare una definizione corretta della grandezza fisica si può ricorrere a un metodo di astrazione: la grandezza è definita dalla classe di tutti i procedimenti di misura che - una volta aggiustate tutte le relative scale e unità - danno sempre risultati gli uni eguali agIi altri. Ma questa è una raffinatezza che forse sarà bene rimandare a quando il discente avrà ben capito il concetto più elementare di definizione operativa. La seconda difficoltà nasce quando ci si domanda che tipo di numero è precisamente quello che rappresenta il risultato della misura. Su questo punto troppi insegnanti tendono a sorvolare, senza rendersi conto che invece è importantissimo. Deve il risultato di una misura essere un numero intero, oppure un numero razionale (cioè con una successione periodica di cifre decimali), oppure un numero reale (cioè con infinite cifre decimali non periodiche)?. Un errore madornale che è stato fatto moltissime volte e viene scioccamente ripetuto è quello di credere che il risultato di una misura sia - o possa essere anche solo teoricamente - un numero reale. Da questo errore sono derivate non poche difficoltà, che non solo i filosofi ignari di scienza, ma anche parecchi scienziati, per altri versi non sprovveduti, hanno incontrato sul loro cammino. Per rendercene conto, prendiamo un esempio semplice. Diciamo che io voglio misurare la larghezza di questo tavolo. Prendo un regolo - che chiamerò metro - e vedo che in quella larghezza esso ci sta una volta, ma avanza qualcosa. Se mi contento di un risultato molto grossolano, dirò che il tavolo è largo un metro. Ma qualcuno mi farà notare che quel qualcosa che avanza mi spinge a far di meglio. Divido allora il metro in cento parti eguali e trovo che la larghezza è un metro e cinquantaquattro centimetri. Se voglio fare ancora meglio passerò ai millimetri e troverò m. 1,547. Posso passare ai decimillimetri, ai centimillimetri, e così via? Forse sì; ma è chiaro a tutti che a un certo punto mi dovrò fermare. E ciò per due ragioni. Prima di tutto, non solo a occhio, ma anche valendomi di un microscopio, o addirittura di un procedimento interferometrico, non potrò apprezzare nulla al di sotto di una piccolissima frazione di metro. In secondo luogo il tavolo non sarà mai infinitamente regolare; il suo bordo non sarà una linea retta matematica. Si può pensare - e molti ancora erroneamente lo pensano - che questa sia solo una limitazione dovuta alla povertà dei nostri mezzi umani. Dicono: sì noi commettiamo sempre un errore, ma la larghezza esatta in senso matematico ha perfettamente senso e può esistere. E invece non può esistere. Infatti il tavolo è composto di molecole e atomi. Anche pensando - ciò che è errato - che gli atomi siano semplici palline, è evidente che con quelle palline non si può fare una linea retta. Ma c'è qualcosa di ben più profondo: gli atomi non sono affatto palline! Ciascuno ha un nucleo ed è circondato da elettroni; e gli elettroni si comportano in modo ben diverso dalle palle di biliardo. Non stanno mal fermi e - per il principio d'indeterminazione di Heisenberg - è impossibile dire con precisione dove ciascuno è collocato e con che velocità si muove. E’ come se l'atomo - e quindi anche il tavolo - sfumasse via via verso l'esterno. Quello che abbiamo detto per la larghezza del tavolo può ripetersi, con opportune varianti, per qualsiasi grandezza fisica. La misura di una grandezza fisica non è mai un numero reale, prima di tutto per ragioni pratiche, e fin quì si potrebbe anche parlare di errore umano; ma in secondo luogo non può esserlo anche per ragioni teoriche, il ché è ben più grave. La misura come numero reale non esiste, perché non ha senso. E allora? Allora si prende onestamente atto della situazione, contentandosi di quella che normalmente viene chiamata approssimazione, ma che molto meglio potrebbe chiamarsi precisione della misura. Infatti ci si approssima, cioè ci si avvicina, a ciò che esiste, non a ciò che non esiste (e si badi bene che parliamo delle cose fisiche, non di quelle puramente matematiche). Come è noto, si dice: ho misurato il tavolo a meno di un centimetro, oppure a meno di un millimetro, e cosi via. In altre parole, se a è un numero reale, non si potrà mai dire che la misura di una grandezza fisica è a; si dovrà dire invece che la misura va da a - E ad a + E. Sinteticamente si scrive che la misura risulta a + E dove E rappresenta la precisione del procedimento o dell'apparecchio usato per la misura. Il risultato dunque è tutto un intervallo di numeri reali, quello che va da a- E ad a + E. E’ ovvio che si ha interesse a rendere e il più piccolo possibile, cioè ad aumentare la precisione degli apparecchi. Ma pensare che possa aversi - anche solo teoricamente - E = o è una pia illusione. Ed è anche un'illusione pericolosa, in quanto il credere che in via teorica si possa rendere E = o ha portato molti epistemologi a conclusioni assolutamente errate riguardo alla fisica e al suo metodo. Per esempio non si sono resi conto che ogni teoria è vera solo al di dentro del suo dominio di validità. Il dominio di validità è definito in primissimo luogo dalle precisioni degli apparecchi che sono stati usati per stabilirla o per verificarla. Andare aI di là di tale dominio vuol dire fare un'estrapolazione arbitraria di cui nessuno può garantire il successo. E’ per questo che, per esempio, la meccanica di Einstein non smentisce affatto la meccanica di Newton. La meccanica di Newton rimane valida oggi com'era ieri al di dentro del suo dominio di validità (per esempio quello che è più che sufficiente per costruire un'automobile). Se si va a precisioni molto più spinte e a velocità molto più grandi di quelle che erano possibili al tempo di Newton, si esce dal dominio di validità della meccanica newtoniana e si entra nel più ampio dominio di validità della meccanica einsteiniana. Come si stabilisce il procedimento di misura di una data grandezza fisica? In linea di principio lo si può fare in modo assolutamente convenzionale,individuando un processo fisico che sia capace di far corrispondere un numero (su una scala anch'essa convenzionale) ad ogni entità della grandezza da misurare. Ma in realtà sussistono varie condizioni - dettate in gran parte dal buon senso che conviene in ogni caso rispettare. Tanto per fare un esempio, prendiamo il caso della temperatura e del metodo del termometro, che tutti conoscono. Ricordiamo che l'acqua ha la stranissima proprietà di dilatarsi sia al di sopra sia al di sotto di 4°C. E’ evidente allora che non converrà usare l'acqua come sostanza termometrica in quell'ambito di temperature. Infatti in tal caso due temperature diverse potrebbero dare come risultato lo stesso numero. E’ vero che qui si potrebbe aprire una curiosa discussione filosofica. Com'è che sappiamo che sono due temperature diverse? Se ci affidassimo puramente al termometro ad acqua non lo sapremmo. Ma qui, rinunciando ad entrare in queste sottili disquisizioni filosofiche - che per il nostro intento avrebbero scarso interesse - contentiamoci di dire che diamo più credito alla stragrande maggioranza delle sostanze fisiche che alla stranissima acqua. Lasciando dunque questa ed altre puntigliose precisazioni che ci potrebbero condurre troppo lontano, parliamo senz'altro delle grandezze estensive, quelle per le quali si sceglie un'unità di misura, che è una grandezza della stessa specie di quella da misurare, e si guarda quante volte essa è contenuta in quest'ultima. L'esempio principe è quello della lunghezza e del metro; quest'ultimo, com'è ovvio, è scelto in modo convenzionale, in quanto al suo posto si potrebbe prendere il braccio o il pollice o mille altre unità che effettivamente sono state usate in passato o in altri paesi. Non c'è nulla di sostanzialmente difficile nello scegliere un sistema di unità di misura totalmente convenzionale. Ma qui intervengono le leggi fisiche, le quali suggeriscono utilissime semplificazioni. Di solito le leggi elementari (e fondamentali) della fisica sono espresse da relazioni deI tipo: (l) ab... = k cd.../ ef... dove a, b, c, d, e, f,, sono misure di grandezze (numeri) e k è un altro numero, che dipende (evidentemente) dalla scelta delle unità di misura per a, b, c, d, e, f... In nessun caso l'esperienza può fornire il valore di k indipendentemente dalla scelta delle unità di misura. Pertanto le leggi della fisica nella loro forma elementare fissano solo delle proporzionalità fra le misure di grandezze diverse, mai delle eguaglianze. Purtroppo questi fatti vengono ignorati proprio nei casi pIù elementari, così che idee erronee si imprimono nelle menti fino dagli anni della scuola; e poi ci rimangono quasi indelebili. Il caso più evidente è proprio quello della prima relazione fra grandezze di specie diversa: quello fra lunghezza e superficie. Si trova - per via matematica, ma lo si potrebbe anche fare sperimentalmente, se si rinuncia alla precisione infinita che le misure di superficie simili sono proporzionali alla misura di una qualsiasi lunghezza omologa. Ciò si esprime mediante la relazione: (2), s=k12 Il fattore k varia al variare delle unità di misura e del tipo di figure simili al quale ci si riferisce. Questo è un inconveniente che si può (parzialmente) evitare, fissando che ogni volta che si moltiplica per un numero m l'unità di lunghezza, si moltiplichi contemporaneamente per m2 l'unità di superficie. In tal caso il valore di k rimane sempre lo stesso. Questa convenzione ha un'enorme importanza pratica, ma non ha una benché minima importanza teorica. Tuttavia, senza tenerne conto, si dice che "una superficie è la seconda potenza di una lunghezza". E, avendolo imparato fin da piccoli, si comincia a crederlo davvero: si crede che l'essenza di una superficie sia proprio la seconda potenza di una lunghezza; il che dovrebbe essere manifestamente assurdo., Anzi si va più in là nel fare delle convenzioni, che poi si gabellano per leggi di natura. E’ evidente che, se è comodo che il k della (l) o della (2) mantenga una valore fisso a prescindere dalle unità di misura, ancora più comodo sarebbe che avesse proprio il valore 1 in modo da poter scrivere semplicemente: (3) s=12 Ciò si ottiene prendendo per unità di misura delle superficie il quadrato che ha il lato di 1 m. Allora l'area di un quadrato di lato 1 metro risulta proprio eguale a 12 metri quadrati. Ma la cosa è convenzionale -non si dimentichi - e vale solo per il quadrato! Per il cerchio il k spunterebbe nuovamente fuori sotto la forma di (pi greco). E’ vero che si potrebbe scegliere per unità di misura delle superficie il cerchio di raggio unitario. Ma allora il (pi greco), sparirebbe per il cerchio e ricomparirebbe per il quadrato. Invece che di quadratura del circolo si parlerebbe di circolatura del quadrato. Nei giovani - ma anche negli adulti - si forma l'assurda idea che la (3) abbia il carattere di necessità. Tanto è vero che la seconda potenza viene chiamata il quadrato! Si può forse dubitare che, se per unità di superficie si fosse scelto il cerchio di raggio unitario, la seconda potenza verrebbe chiamata il cerchio? E se Galileo fosse venuto prima di Euclide ed avesse scoperto allora la legge di caduta naturale dei gravi: (4) h = k t2 non si sarebbe parlato di elevare a caduta, anziché di elevare al quadrato? Invece Galileo è venuto molto dopo e si è stati costretti a tenersi quel k (che come è noto si chiama g/2).Si facciano ben notare ai giovani queste convenzionalità, anche se è doveroso aggiungere che sono state introdotte perché sono quanto mai comode. Si stimolino poi a riflettere che anche le dimensioni delle grandezze fisiche derivano da convenzioni; anche se aiutano a controllare la correttezza dei risultati dei calcoli (perché, per esempio, una forza non può risultare eguale a una superficie) esse non hanno nulla di necessario in natura e non rappresentano affatto l'essenza delle grandezze. Ma, una volta fatto questo, è ovvio che si dovrà insegnare a seguire alla lettera le convenzioni ben stabilite nella scienza; esse sono come un linguaggio senza il quale non sarebbe possibile ragionare e soprattutto intendersi tra noi
Prof. Giuliano Toraldo di Francia Docente di Fisica Superiore Facoltà di Scienze Matematiche, fisiche e Naturali - Università di Firenze
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